Pubblicato da: luciano de fiore | 19 novembre 2009

Seni

Da Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere, di Woody Allen

The Breast, il petto, e non il seno, è la prima delle novelle in cui compare David Kepesh. Non è tra le più riuscite di Roth e forse è tra le sue meno tipiche, fin troppo influenzata da Swift, Gogol e Kafka. A differenza che nella mosca kafkiana, il protagonista – un professore di letteratura comparata, trentottenne –  si sveglia un mattino trovandosi trasformato in una gigantesca tetta di ottanta chili, provando tutte le sensazioni ed i “turbamenti” di una poppa femminile – del seno, come vedremo adesso, in termini à la Nancy, qui non si dovrebbe parlare. Una poppa tondeggiante ad un’estremità come un cocomero, e dall’altra culminante in un capezzolo sensibilissimo, attraverso il quale David “la Tetta” Kepesh vede, parla, sente.
Da questa identificazione proiettiva assoluta coll’oggetto del desiderio, si passerà ne L’animale morente ad una dimensione in cui il desiderio ha ancora a che fare con un oggetto ossessivo (sempre il petto femminile), ma anche con il desiderio dell’Altro, con un desiderio meno narcisisticamente centrato e non affisato ad un oggetto-corpo, ma alla persona.
Ma anche se in italiano il romanzo di Roth di cui stiamo accennando si chiama proprio Il seno, con il seno il libro ha poco a che fare. Perché?
Il desiderio è il seno. Quello vero, ciò che divide e unisce, sinus, o come il greco kolpos. È la nascita delle due mammelle della donna, il punto di attacco, il solco tra le due imperfette e perfette metà della sfera femminile, quel sollevamento, lo spazio che separa e rimanda però sempre al due, alla coppia dei seni – una doppia elevazione, invio perpetuo dell’una all’altra, scrive Nancy. Nell’ambivalenza del seno (si sa che è dove non è, è infatti l’attaccatura, la scollatura, il décolleté e non le mammelle che pure chiamiamo seni nel linguaggio corrente) si può sentire il desiderio che, come il seno, è un vuoto che dice del pieno.
Forse è da intendersi anche in questa luce l’affermazione di Freud “Io sono il seno”[1], riferita al bambino, per il quale l’avere succede all’essere: sono quella attaccatura, quella nascita, quel senza-oggetto.

Jean-Luc Nancy, ovviamente. La naissance des seins (2006)[2], ma con un distinguo. “Seno” è una parola che fa difetto, nel dirla, sbagliamo. Seno non si può che dirla male. Il seno è propriamente ciò che di per sé non ha alcuna presenza, è nel senso che appunto divide e unisce, rapporta le due coppe del petto: «La nascita è l’apertura di uno spazio, inventa la spaziatura che essa stessa è e attraverso la quale un luogo nuovo prende posto. La nascita dei seni li spazia l’uno dall’altro, tra essi si trattiene il loro segreto: la loro gola, la loro svasatura, il loro raccoglimento»[3].
Il loro essere plurale, dice l’incommensurabilità. Non c’è metafisica della ripetizione, non si danno “globi gemelli”, non c’è un due che sia la somma di seni eguali: la loro unità sfida piuttosto la simmetria: «C’è differenza dei lati, come c’è differenza dei sessi. L’occhio destro non vede come il sinistro, e il seno sinistro non cade come il destro. Il petto [poitrine] perfettamente duplicato è una rappresentazione povera, ossessionata da una metafisica della sazietà [réplétion: attenzione, la traduzione italiana qui è in errore evidente, traducendo réplétion con ripetizione]»[4].

Allora, si può ricorrere alla parola seno per dire il desiderio, il solco, lo spazio – mentre la parola al plurale dice invece ciò che il seno non è, appunto, perché se nel primo è la mancanza e la tensione, nei secondi è la pienezza. Ma “proprio nella mancanza, nel vuoto del décolleté lo sguardo dell’uomo percepisce ciò che immagina. La nascita deve essere perfetta per invitare a vedere di più”[5].
Perciò il seno è il desiderio: perché è ciò che non è essente ed è relazione, è un rapporto tra il vuoto ed il pieno, è riferimento ad altro. È insieme mancanza ed eccedenza, penìa e pienezza. Il desiderio si affaccia in questo rapporto tra la mancanza e l’eccedenza, siamo noi quando siamo presi da questa relazione, quando diventiamo questa tensione. Per lo stesso motivo, difficile dire che il desiderio sia solo metafora dell’assenza o – al contrario – dell’eccedenza. È in quella nascita che dalla mancanza accenna all’eccedenza, e che non si acquieta né nella prima né nella seconda, ma che certo è favorito, si alimenta più nella tensione che nel possesso.


[1] Sigmund Freud (1938), nota postuma (t. XVII, p.151): “Das haben ist die spätere, fällt nach Objektverlust ins sein zurück. Master: Brust. Die Brust ist ein Stück von mir, ich bin die Brust – Später nur: ich habe sie, d.h. ich bin sie nicht…”.

[2] Jean-Luc Nancy (2006), La nascita dei seni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007.

[3] Jean-Luc Nancy, La nascita dei seni, cit., pag. 45.

[4] Ivi, pag. 59.

[5] M. Brossard-Le Grund, Le sein, ou la vie des femmes, Renaudot et Cie, Paris 1989, pag. 159, cit. in J-L. Nancy, La nascita dei seni, cit, pag. 17. È in fondo un commento a questa affermazione, la seguente di Nancy: “Rimane sempre da sapere se è la bellezza che strazia oppure il suo desiderio, o se è la stessa cosa, e se la bellezza è di per sé il desiderio della bellezza, sempre più e meno di essa, sempre fuori da essa, strana incongruenza” (J-L. Nancy, ivi, pag. 36).


Risposte

  1. Tra le letture di questi giorni ho scoperto che è stata trovata nei mesi scorsi, in una cava della Hohle Fels, nella parte sudoccidentale della Germania, la più antica rappresentazione di un corpo umano mai rinvenuta. La statua è quella di una donna, anzi, di una donna-simbolo con seni enormi e prominenti (è stata scolpita 37.000 anni fa).
    Questo ritrovamento non rappresenta un’eccezione (almeno così mi sembra di capire) ma anzi, una costante. Altri ritrovamenti, infatti, risalenti al medesimo periodo, effettuati in altre parti d’Europa (in Francia) mostrano che non appena l’uomo ha inventato l’arte figurativa e ha elaborato le sue pulsioni, ha puntato molto sulla rappresentazione dei caratteri sessuali, soprattutto femminili.
    Una visione ossessiva del seno, di questo seno che unisce e divide,che simboleggia in tal caso il desiderio di comprendere la “pulsione desiderante” o più razionalmente un’ “ermeneutica anatomica”, una ricerca di “spazi sconosciuti”.
    Tuttavia questa statua in avorio ci dice qualcosa in più, essa è stata scolpita dai primi Homo sapiens giunti in Europa, quindi anche i Neanderthal oltre ad avere estese capacità cognitive (testimoniate da quest’arte figurativa), naturalmente avevano una pulsione desiderante che stavano elaborando.
    Senza la presunzione di fare una genealogia dell’immagine del seno nell’arte, proverò a esprimere ciò che mi viene in mente osservando lo scatto di Mario Giacomelli Mario Giacomelli: Ritratto di un sogno”Ritratto di un sogno” esposto nelle sale del museo Alinari di Firenze.

    Questo oggetto del desiderio, nell’immaginario collettivo sprigiona una potenza capace di superare i limiti della temporalità (è sempre stato così); mi vien da pensare al seno della Venere di Milo (alla quale Bertolucci fa un riferimento simbolico e sensuale nel film The Dreamers, in italiano” I sognatori “, non casualmente qui ritorna il binomio con qualcosa di onirico e al contempo desiderante) o alle pin up ameriane figlie di Marilyn Monroe; così come ai meno eleganti ma altrettanto sensuali reggipetti in perfetto stile italiano.
    Reggipetti (che per quel che nascondono e celano) diventano “calamite di pulsioni desideranti” e qui non posso che pensare a Sofia Loren e Mastroianni in un celebre spezzone di “Ieri oggi e domani” e a questi seni come colline, come rifugi, come un’ancora di salvezza dove aggrapparsi per non naufragare in acque sconosciute, fra immaginario e reale o come direbbe un Battiato fortemente influenzato da Schopenhauer: ” tra sesso (desiderato) e castità (desiderante)”.
    Francesco Santosuosso


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