Pubblicato da: luciano de fiore | 19 novembre 2009

Sante e infermiere

Francesco Guarino, Sant'Agata, Museo di Capodimonte

Nell’analisi di Nancy ciò è evidente perfino dal mito di Sant’Agata. Che è meglio detto dalla tela di Francesco Guarino che non da quella, per esempio, di Francisco de Zurbarán . La Santa patrona di Catania, martire, era vissuta nel III secolo. Torturata, subì l’amputazione delle mammelle. Ma non morì. La leggenda vuole che san Pietro, apparsole in sogno, le guarisse le ferite. Fatto sta che Quinziano, il proconsole di Catania, per ucciderla dovette bruciarla sul rogo. L’iconografia classica la mostra nell’atto di mostrare le mammelle recise su di un piatto. Con il che, del seno non vi è più traccia. Al contrario, il quadro di Capidimonte di Francesco Guarino (nato tra l’altro a Sant’Agata, un destino), come anche la grande pittura di Tiepolo, restituiscono il mistero e l’assenza: «La Sant’Agata di Francesco Guarino non mostra i seni. Preme sul petto un panno insanguinato, che tiene come farebbe con il seno – in quel gesto sempre ripetuto dalla pittura e dalla scultura: la donna che copre i seni con le mani, li mostra mentre li nasconde, li sostiene, li protegge, li offre, mentre tutto il corpo sembra partecipare al ricurva mento e alla ripiegatura del seno. Ella mi guarda in un modo che mi turba: mi invita a rendermi conto che i seni sono là, proprio nel torso straziato, proprio nella traccia del sangue, inviolabili, inalterabili […]. Con la punta delle dita affondate nella stoffa, mi tocca e m’invita a toccare quella nascita dei seni che il supplizio non è stato capace di sopprimere (che nessuna ferita, che nessun cancro può sopprimere): anzi, l’ha rivelata» .

Nell’introduzione italiana ad un testo di Žižek su Lacan, Mauro Carbone discute un racconto di Milan Kundera (Il simposio, 1968) – Kundera, uno degli autori più vicini ed amici di Roth. È la storia di un microcosmo in un ospedale, composto da pazienti, infermieri e medici. In particolare Elisabeth, un’infermiera disinibita e dal fascino aggressivo, cerca insistentemente di sedurre il dottor Havel, noto tombeur de femmes, che però – tra la sorpresa dei colleghi – le resiste. Lo stesso primario ne è stupito e chiede al sottoposto come mai non approfitti della disponibilità della bella nurse. La risposta del dottore fa al caso nostro: quella donna, dice, “mostra il suo desiderio in maniera così marcata da farlo sembrare un ordine” . Il godimento sembra imposto ed il dottor Havel vi si ribella: “I suoi seni hanno l’onnipresenza di Dio”.
Siamo passati dalla presenza-assenza del seno, dal suo darsi nel vuoto dello spazio tra le mammelle, alla pienezza roboante e invadente del petto di Elisabeth, ad una presenza attuale che non lascia spazio al desiderio, ma che si offre tutta al godimento.
Ma quando il turgore dei seni toglie spazio al seno, allora il desiderio conosce una pausa, segna il passo.

Raffaello Sanzio, La Fornarina

Nel mostrare il seno, la pittura classica degli innumerevoli Donna dal seno nudo (da Raffaello a Tiziano, Corot, Manet, Gauguin) non fa che mostrare invece l’altro dal seno, quella pienezza dei seni che si danno come ek-sistenza, essere-nel-mondo della sessualità femminile (Nancy). Ma così non viene affatto colta la ricca ambiguità del vero seno, golfo, ansa, insenatura possibile: «Sguardo profondo, stereoscopico. Vedere doppio. Due colonne, due colline, due capezzoli. È impossibile. Il kolpos, tra l’uno e il due» . Più in generale, i seni esposti, esibiti dicono del godimento più che del desiderio e rimandano al tema, difficile, del rapporto tra desiderio e imposizione. La jouissance imposta come elemento costitutivo della post-modernità: saremmo per così dire condannati a desiderare, ma, soprattutto, a godere. Un punto sviluppato in particolare da Lacan e ripreso dalla scuola slovena lacaniana, attraverso Zizek – come abbiamo visto. Permanendo nella dialettica tra desiderio e godimento, passiamo ora dal seno al testo. Roland Barthes ravvede il luogo dell’erotismo nei “bordi del testo”, nella fessura che lascia intravedere: «Il luogo più erotico di un corpo non è forse dove il vestito si scosta? Nella perversione (che è il regime del piacere testuale) non vi sono “zone erogene” (espressione del resto abbastanza disgustosa); è erotica l’intermittenza, come ha detto bene la psicoanalisi: quella della pelle che scintilla fra due indumenti (i pantaloni e il golf), fra due bordi (la camicia semiaperta, il guanto e la manica); è questo stesso scintillio che seduce, vale a dire la messa in scena di un’apparizione-sparizione» .
Barthes accenna ad una seduttività del testo, paragonandola a quella delle parti del corpo intraviste tra gli indumenti scostati; l’erotismo dell’upskirt, nella forma inglese, cioè della porzione del corpo involontariamente evidenziata da una postura, da un colpo di vento, da un angolo di visuale inconsueto. Non è questione qui del godimento estetico del testo, del piacere della lettura, ma di qualcosa di diverso. Ma dove sono i “bordi” del testo? Cosa lo rende, per così dire, sexy? Sono intertestualità e metanarrazione le funzioni costitutive del sex-appeal del testo. È il contesto paratestuale, ciò a cui il testo allude, quel che non è scritto, quel che traspare dal bianco tra le righe; le diverse letture possibili, le interrogazioni e gli stimoli che il testo offre.


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