Se si spersonalizza la soggettività desiderante, se si considera l’uomo il tramite di un desiderio che è esso stesso soggetto e che in qualche modo ci desidera, ci agisce in quanto veicoli, transiti di un impulso che ci oltrepassa, diviene difficile sfuggire poi ad una metafisica del desiderio. Una metafisica del desiderio con tali caratteristiche non tiene nel proprio campo il piacere, anzi lo espunge in quanto termine ad quem, salvo ricomprenderlo come mero momento di un ciclo in cui eternamente la macchina desiderante si ripropone, sbocciando ogni soddisfazione che non può che esser parziale, transitoria, effimera, strumento del proprio incedere senza mèta. Secondo Michel Onfray, i filosofi per eccellenza di questo desiderio sarebbero Sade e Bataille, ed i loro padri spirituali (è il caso di dirlo) San Paolo ed Agostino. I quali svilupperebbero una teologia dell’eros cristiano costitutivo di un nichilismo della carne[1]. Contro quel Gesù della teologia che valorizza invece il Figlio dell’Uomo per il quale è viatico di salvezza il semplice tocco del lembo del mantello del Salvatore[2].
Secondo Onfray, attraverso Sade e Bataille passa una seconda teologia di questo eros cristiano per il quale il piacere è nel godimento della sofferenza per guadagnarsi il paradiso. Il Marchese di Lacoste e Bataille come difensori imprevisti dell’eros notturno paolino e dei suoi disvalori: identificazione di sofferenza e godimento, primato del desiderio sul piacere, disprezzo delle donne, odio della carne, voluttà della morte: «Questi filosofi del desiderio non sono filosofi del piacere: i primi si attivano persino come antidoti ai secondi. Il desiderio trova la sua risoluzione nel piacere, suo scopo naturale e necessario. E se questo manca, la verginità, la castità, la ritenzione, la continenza, la rimozione, generano la sessualità cristiana che conosciamo: nevrotica e nevrotizzante, sadomasochistica e psicopatologica, tanatofila e distruttrice di vita. Al perverso piacere del solo desiderio, preferiamo il desiderio del piacere, seguito dal piacere del piacere»[3]. Onfray si fa araldo del desiderio del piacere, contro il desiderio del solo desiderio, esito possibile – ancorché non scontato – di un apprezzamento ultraindividuale della soggettività desiderante.
Per chi invece al contrario insiste nel suo carattere individuale, rivendicandone la dimensione privata, egotica, l’insidia consiste nella sua incommensurabilità, nell’impossibilità di rintracciarne caratteri storici ultraindividuali. Una difficoltà nella quale s’imbatte non a caso Sartre, ma che non gli impedisce di valorizzare appieno l’adesione personale alla proposta del desiderio.
[1] Onfray è uno studioso francese contemporaneo, impegnato da anni nel tentativo di recuperare al corpo una sessualità libera, riscattandola ai venti secoli di Cristianesimo che ci hanno consegnato un corpo deplorevole ed una sessualità catastrofica. Onfray legge la teologia paolina come specchio della nevrosi di un malato che propone come modello da imitare un Cristo che abita un corpo che non beve, non mangia, non ride, non ha sessualità, in fondo un anticorpo.
[2] La folla si accalca attorno a Gesù e lo preme da ogni parte. D’improvviso Gesù domanda: “Chi mi ha toccato?”. Pietro gli dice: “Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia. Come puoi fare una domanda simile?”. Ma Gesù insiste: “Ho sentito che una forza è uscita da me!”. Allora si fa avanti una donna, malata da molti anni, confessando che gli si è avvicinata furtivamente alle spalle pensando tra sé: “Se riuscirò a toccare anche solo il lembo del suo mantello, sarò guarita” (Mc 5, 25-34; Lc 8, 42-48).
[3] Michel Onfray (2008), La cura dei piaceri. Costruzione di un’erotica solare, Ponte alle Grazie, Milano 2009, pag. 111.
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