La concezione freudiana del desiderio sembra partecipare di alcuni aspetti fondamentali della tradizione inaugurata dai Greci. Freud impiega il termine Wunsch, propriamente desiderio, parola che in tedesco non evoca la concupiscenza, resa invece da termini quali Begierde o Lust.
I principali concetti correlati nella riflessione freudiana sulla facoltà di desiderare sono la perdita, l’appagamento (Wunscherfüllung, cioè riempimento del desiderio) il sogno, la fantasia (ed il correlato Wunschphantasie), la rappresentazione.
Prima di ogni altra considerazione, bisogna dire che l’uso che Freud fa del termine desiderio non è sempre rigoroso: a volte indulge a parlare di desiderio di dormire, o di desiderio preconoscio, eccetera. Quindi, anche con Freud alla mano “bisogna determinare con sufficiente precisione di cosa si parla quando si parla di ‘desiderio’. Si può restare nell’ordine privativo dove il desiderio è mancanza d’essere, come sostiene tutta una tradizione. Si è allora più vicini, nel lessico freudiano, al Wunsch (che è l’aspirazione, il voto) che alla Gier, alla Begierde o alla Gelüste, che è l’ardore avido, l’appetito nel suo senso primario di tensione e slancio. Dall’uno all’altro registro, si passa da un moto derivato da un’assenza e da una mancanza ad un’emozione suscitata da una presenza che chiede di affermarsi ancora”[1].
Com’è a tutti noto, Freud mette l’attività onirica al centro dell’attenzione dello psichiatra, ritenendo che il sognare limitasse considerevolmente l’attività censoria della ragione e che quindi l’analisi dei sogni potesse rivelarsi oltremodo produttiva. L’analisi distingue tra contenuto manifesto e contenuto latente del sogno. Il primo è quel che si ricorda e che viene raccontato, mentre nel secondo sono presenti quegli elementi simbolici che il contenuto manifesto presenta. Analizzandoli, riaffiora appunto la sostanza del sogno.
Il motore dei sogni sarebbero i desideri inconsci, non accessibili all’io, ma che operano ancora all’interno della psiche umana; durante la notte rafforzano i loro effetti per via della minore attività della coscienza, e possono emergere sotto forma di immagine onirica. Allora, anche sogni penosi dal contenuto angosciante, una volta fatto affiorare il loro contenuto latente, si riveleranno appagamenti di desideri profondi.
Nel breve testo della Traumdeutung riportato, si notano diversi aspetti interessanti. Innanzitutto, Freud dice che non c’è desiderio se prima non si è data un’esperienza percettiva. Non c’è desiderio se non ve n’è traccia, memoria mnestica. Il soddisfacimento quindi dipende non da un oggetto, ma da un’esperienza, da una fantasia, la “messinscena del desiderio”.
Inoltre, desiderio è movimento, è un’azione psichica che tende a ricostituire la situazione originaria. Quindi il desiderio è completamente diverso dal bisogno, perché quest’ultimo trova soddisfazione in un oggetto, mentre il desiderio non è in relazione con un oggetto reale, ma con le sue tracce mnestiche [1]. Il bisogno trova soddisfazione con l’azione specifica che procura l’oggetto adeguato (per esempio, il cibo), mentre il desiderio «è legato indissolubilmente a delle tracce mnestiche e trova il suo appagamento (Erfüllung) nella riproduzione allucinatoria delle percezioni divenute segni di tale soddisfacimento»[2].
Ricordiamo allora intanto che anche per Freud desiderio e bisogno, pur generati entrambi dalla mancanza, sono diversi.
Per comprendere meglio la caratteristica relazione tra desiderio e memoria inconscia, aiuta far mente locale sulla temporalità particolare dell’inconscio. Per Freud, esso è «il luogo della differenza irresolubile rispetto alla coscienza, dell’assenza originaria e inconoscibile»[3]. Quest’assenza si è data ovviamente prima, rispetto alla sua memoria. Grazie al concetto freudiano di Nachträglichkeit, di posteriorità, riusciamo a capire quando si situa quel prima. Si darebbe infatti una particolarissima interconnessione delle tre modalità del tempo, sulla quale – secondo il fondatore della psicoanalisi – sarebbe strutturato l’inconscio: «L’idea di posteriorità comporta un modello di temporalità discontinua, in cui non vi è percezione né rappresentazione di un’esperienza presente che non debba guadagnare il proprio senso attraverso un debito fondamentale con il passato e con il futuro. L’esperienza passata, infatti, illumina e ri-significa un’esperienza passata, fino a ora disattualizzata ed enigmatica, a propria volta così acquistando sempre nuovi significati»[4].
Così come per l’inconscio, l’esperienza del desiderare non riguarda dunque mai un presente pieno, rinviando sempre ad un passato assente che peraltro non è mai stato e che non potrà mai divenire presente se non nella forma dissimulata dei propri rappresentanti, il più importante dei quali – secondo Freud – è il sogno.
L’appagamento del desiderio non rappresenta dunque il possesso di un oggetto reale, ma la riproduzione allucinatoria di una percezione la cui immagine mnestica viene reinvestita: «siamo davvero, con il desiderio, nel mondo come rappresentazione: non abbiamo mai un rapporto diretto con il reale e le pulsioni, ma sempre con rappresentazioni affettive, o con rappresentanti di rappresentazioni»[5].
Da notare però che quel prima temporale, così imbricato col presente ed il futuro, non è da intendersi come una condizione edenica, naturale. Le stesse pulsioni infatti sono da apprezzarsi freudianamente come “già truffate” in partenza, vale a dire non appartengono per nulla ad un preteso mondo naturale originario, inesistente, ma si danno solo già nell’interdetto della cultura come rinuncia al godimento. Per cui, «la cultura umana si fonda su un vero paradosso: l’essenza contraddittoria delle pulsioni, che da una parte nascono già interdette, sotto il segno della rinuncia al godimento, e dall’altra non conoscono rinunce, in quanto tendono al raggiungimento impossibile di quello stesso godimento» [6].
Il desiderio, se inteso come una passione declinata al futuro, appartiene dunque a quel regno di mezzo che è l’umano – di quel soggetto umano che Hegel definiva l’essere anfibio. Di mezzo tra natura e artificio, dal momento che l’affettività ha una sua logica coessenziale e coeva di quella razionale, alla quale non si sovrappone dall’esterno, accompagnando piuttosto ogni nostra percezione e idea: «Nella crescita dell’individuo i rudimenti dell’affettività si formano addirittura prima dei sistemi simbolici, con cui si integrano poi progressivamente, formando (in condizioni normali [id est, non patologiche]) un sistema “giroscopico” in grado di orientarlo»[7].
Che cosa dunque si desidera, secondo Freud? Si desidera qualcosa di perduto e di non riconquistabile, perché anche l’oggetto originario (poniamo siano le cure della madre) è perso una volta per sempre, ed ogni tentativo di richiamarlo al presente del desiderio, sconta la situazione mutata, le condizioni cambiate, il processo insomma della nostra individuazione.
Una particolare relazione viene istituita tra desiderio e sogno. Quest’ultimo sarebbe l’appagamento di un desiderio inconscio. Freud vi riflette a partire da una domanda: se il nostro desiderio, in sostanza, non viene mai del tutto soddisfatto, a cosa mira davvero? Qual è il suo scopo finale, cosa si propone la nostra funzione desiderante?
Freud pensa che la struttura della nostra funzione desiderante sia costituita al fondo dalla nostalgia per la vita intrauterina pre-natale. Il desiderio inconscio tende ad appagarsi ripristinando, secondo le leggi del processo primario, i segni legati alle prime esperienze di soddisfacimento.

Ron Mueck, Mother and child
In altre parole, la struttura del desiderio si formerebbe in una fase precocissima dello sviluppo dell’individuo, fase nella quale – per tornare ad Aristotele – non c’è alcuna consapevolezza dell’oggetto del desiderio, né diremmo del desiderare stesso. La funzione è inconscia in senso proprio. Il desiderio si riprometterebbe una reinfetazione del soggetto, il ripristino dell’unità fusionale con la madre: “È probabile che il primo atto di desiderio sia stato un investimento allucinatorio del ricordo di soddisfacimento”, scrive Freud.
Da questo punto di vista, questo Desiderio di fondo freudiano appare “irragionevole”, secondo la schematizzazione desunta da Ernst Bloch. Nel senso che ogni desiderio è in sé legittimo: si può desiderare qualsiasi cosa e qualsiasi situazione, ma diviene poi irragionevole tentare di accoppiargli la volontà, come nel caso di voler esaudito il desiderio di riavere accanto una persona cara defunta. Lo stesso potrebbe dirsi del desiderio di riconquistare un rapporto fusionale prefetale con la madre, ovviamente. Ma, ricordiamo una volta di più, Freud sta qui parlando del desiderio inconscio. Poniamola così: il sogno sarebbe a rappresentazione di una rappresentazione, laddove quest’ultima sarebbe il desiderio. E ciò potrebbe spiegare – oltre alle motivazioni che ne dà lo stesso Freud – perché i sogni si ricordano con difficoltà, generalmente: perché sono il ricordo di un ricordo. E la nostra anima, evidentemente, non prevede un backup dei dati già salvati. Il vero backup delle nostre esperienze sembrerebbe restare il sogno. E non sembra previsto, purtroppo, un backup del backup.
[1] Camille Dumoulié (1999), Il desiderio. Storia e analisi di un concetto, Einaudi, Torino 2002, pag. 112.
[2] Jean Laplanche e Jean-Bertrand Pontalis (1967), Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Bari-Roma 1993, tomo I, pag. 131.
[3] Lucio Russo, Le illusioni del pensiero, Borla, Roma 2006, pag. 76.
[4] Ivi, pag. 76.
[5] Camille Dumoulié, Il desiderio, cit., pag. 114.
[6] Lucio Russo, Le illusioni del pensiero, cit., pag. 115.
[7] Remo Bodei, Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia, Laterza, Bari-Roma 2000, pag. 81.
[8] Pietro Montani, Bioestetica, Carocci, Roma 2007, pag. 100.
[9] Jean-Luc Nancy, Il “c’è” del rapporto sessuale, SE, Milano 2002, pag. 34.
[10] Sigmund Freud (1900), L’interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino 1973, pag. 512. Si veda anche di Mauro Fornaro, Il desiderio dal punto di vista psicoanalitico, in Metafisica del desiderio, a cura di Claudio Ciancio, Vita e Pensiero, Milano 2003, pag. 53 e segg.
Salve, volevo chiedere un chiarimento riguardo un punto affrontato nella scorsa lezione: la possibile primordialitá del desiderio. Leggendo infatti P. Roth, nel testo d’esame “L’ Animale Morente”, a pag.70 trovo la seguente frase in cui a parlare è il protagonista del romanzo David Kepesh: “L’ emozione primordiale, come dicevo, era il desiderio.”. La riflessione, da parte mia, è partita dal presupposto che, non essendoci desiderio da potersi considerare primordiale (per le motivazioni discusse a lezione), è forse un’ emozione per cos¡ dire “sbagliata” che puó portare nient’altro che dolore a poter essere confusa con un che di radicato cos¡ in fondo da potersi considerare originario? Oppure è solo o un problema di grado, semplicemente la forza di un sentimento (giusto o sbagliato che sia) che, in un dato momento della nostra esistenza, si fa cos¡ forte da offuscare tutti gli altri e convincerci che nella nostra vita non ci sia posto che per questo dato sentimento, tanto da farcelo credere come appunto “primordiale, originario”? Ringrazio chiunque abbia chiarimenti su questo punto o semplicemente spunti di riflessione ulteriore.
By: Alice on 26 ottobre 2009
at 23:22
Philip Roth scrive di un desiderio primordiale a ragion veduta, poeticamente. Tuttavia, noi ci stiamo occupando della tematica del desiderio da studiosi di filosofia, con un taglio diverso. Personalmente, sono portato a ritenere che in effetti non si diano desideri “primordiali” in senso forte, ma che tutti nascano in una cultura e che in una cultura vengano espressi e agiti. Nel caso di David Kepesh, in apparenza l’impulso è molto originario, come lei scrive. Lo vedremo da vicino. Buona lettura.
By: luciano de fiore on 27 ottobre 2009
at 00:00
salve,
rileggendo sul blog le scorse lezioni e riflettendo in particolare sulla possibile caratterizzazione del desiderio come mancanza, pensavo alla riflessione di Schopenauer in merito che credo possa essere tenuta in considerazione. Il punto di vista del filosofo estremamente vicino alla riflessione sul desiderio leopardiana, risulta particolarmente interessante se paragonata alla caratterizzazione del desiderio come eccesso. Inoltre notavo come, nonostante le notevoli differenze che vi sono fra le varie riflessioni dei filosofi prese in considerazione, per tutti e quindi anche per Leopardi e Schopenauer il desiderio risulta qualcosa di assolutamente insoddisfabile. Riporto qui i due passi ai quali ho fatto riferimento nelle mie riflessioni.
“Ogni volere proviene da un bisogno, cioè da una privazione, cioè da una sofferenza. La sofferenza vi mette un temine; ma per un desiderio che tiene soddisfatto, ce ne sono dieci almeno che debbono essere contrariati; per di più, ogni forma di desiderio sembra non aver mai fine, e le esigenze tendono all’infinito, la soddisfazione è breve e amaramente misurata. Ma l’appagamento finale non è poi che apparente: ogni desiderio soddisfatto cede subito il posto ad un nuovo desiderio: il primo è una disillusione riconosciuta, il secondo una disillusione non ancora riconosciuta”
(Il mondo come volontà e rappresentazione, 1818)
“La felicità è possibile a chi la desidera perchè il desiderio è senza limiti necessariamente, perché la felicità assoluta è indefinita e non ha limiti [..] e la felicità ed il piacere è sempre futuro, [..] esiste solo nel desiderio del vivente e nella speranza o aspettativa che ne segue”
(Zibaldone, 1821)
By: sarah on 29 ottobre 2009
at 22:51