Pubblicato da: luciano de fiore | 10 ottobre 2009

Tram e oggetti oscuri

streetcar_named_desire1Prima che dal treno evocato dai programmi televisivi RAI e da Azzurro di Paolo Conte, il desiderio è stato rappresentato da un tram. Possiamo adesso capire perché A streetcar named Desire, il capolavoro teatrale di Tennessee Williams, possa rientrare senza forzature nel nostro discorso. Intanto, ve ne rammento rapidamente contesto e plot. Siamo nel 1947, la guerra è appena dietro le spalle. Del ’51 è l’adattamento cinematografico di Elia Kazan che già l’aveva portato a Broadway. In una New Orleans sudista e sudata, serpeggiano e si mischiano i desideri di due sorelle (Stella e Blanche) e di un fusto di origine polacca dalla T-shirt bianca, Stanley Kowalski,  per tutti da allora Marlon Brando, al debutto nel cinema.
Innanzitutto, Desire è il nome di un sobborgo di New Orleans ed anche di una linea di tram che partiva dal centro e attraverso Canal Street arrivava fino a Desire. La linea oggi non è più attiva. [Anzi, dal 1998 il tram 952 di New Orleans chiamato Desiderio, costruito nel 1923, è stato portato a San Francisco, dove fa ancora la tratta Market Street – Embarcadero. Quando su  New Orleans si è abbattuto Katrina, ha indossato sulle due fiancate un invito a sottoscrivere per la sua città d’origine piegata dall’uragano].
Il riferimento al tram – attraverso la geografia di New Orleans –  è naturalmente simbolico. Blanche, la sorella misteriosa e complicata, interpretata nel film da Vivien Leigh che ricevette per questo l’Oscar, non solo deve viaggiare su un tram che compie una linea che si chiama Desiderio per arrivare a casa di Stella ai Campi Elisi, ma per lei il desiderio agisce come una forza incontenibile in tutto il dramma: lei può solo aggrapparsi, tenersi forte, mentre il desiderio la conduce. Stanley Kowalski/Marlon Brando è una rappresentazione delle energie pulsionali allo stato puro, in grado di comporsi in una effervescente chimica dei sensi e dei sentimenti con la moglie Stella, chimica incomprensibile per la sorella Blanche, la cui intricatezza ed infelicità di fondo però attraggono moltissimo il cognato, Stanley.

Stanley Kowalski / Marlon Brando

Stanley Kowalski / Marlon Brando

Kowalski concepisce il rapporto uomo-donna solo in termini sessuali e l’unico fine del rapporto è il piacere che uomo e donna possono trarne. Fuori di casa, i suoi piaceri sono il bowling ed il poker. Quando vince è felice come un bambino, se perde è intrattabile e violento. Per Kowalski, Blanche DuBois, la cognata intricata, raffinata ed affascinante, vedova di un marito omosessuale, rappresenta una sfida ed una minaccia al suo modo di vivere rozzo e diretto. Tuttavia ne è attratto e non capisce perché Blanche resista al suo fascino. Ciò gli è insopportabile, al punto da “doverla” stuprare e annientare: dopo la violenza, Blanche finirà in manicomio.
Nella pièce di Williams, il vero soggetto dunque è il desiderio, sul quale – come su di un tram – salgono e scendono i personaggi, i cui desideri si confrontano e si confondono. Il desiderio si mostra in più di un’occasione per tutti i protagonisti più forte delle loro volontà. Non solo: quando Kowalski desidera, è la rozzezza e la brutalità dell’americano medico che desiderano con lui. Quasi che il tram della linea Desire fosse una prefigurazione di una di quelle macchine desideranti di cui parleranno di lì a qualche anno Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo. Macchine desideranti, cioè per l’appunto forze impersonali, ultraindividuali e sociali in grado di dar conto della forza del desiderio.
La proposta di Guattari e Deleuze avanzata nell’Anti-Edipo trova un correttivo implicito nella riflessione di Sartre. Come vedremo, l’Essere e il nulla identifica la mente con il desiderio di sé; in altre parole, “la mente, il progetto, il pensiero hanno per Sartre le loro radici nel desiderio di un sé di mantenere se stesso”, scrive Marcella D’Abbiero.

Ma la mente, e la scelta che essa è chiamata a compiere, sono sempre individuali, non sottostanno ad alcuna legge generale. E non perché non si diano condizioni generali – o diremmo noi, desideri desiderati collettivamente, o da gruppi e ceti – ma perché qualsiasi asserzione generale, qualsivoglia situazione “oggettiva”, viene vissuta – secondo Sartre – nell’ottica personale di un progetto[1].

Un tram chiamato Desiderio gioca un ruolo importante anche per Manuela, la infermiera protagonista del denso Todo sobre mi madre (1999) di Pedro Almodóvar.todosobremimadre
Manuela festeggia il diciassettesimo compleanno del figlio Esteban a teatro, assistendo al dramma di Williams. Ed Esteban resta così colpito dall’attrice che impersona Blanche Dubois da attenderla a lungo fuori dal teatro e da rincorrere poi il taxi di lei, finendo ucciso, investito da un’altra macchina. Manuela decide allora di dar corso all’ultimo desiderio del figlio: trovare suo padre, col quale lei aveva avuto una relazione vent’anni prima. Allora, lui anche faceva l’attore, si chiamava Esteban come poi il figlio ed aveva conosciuto Manuela sul palcoscenico, ancora una volta, di Un tram chiamato desiderio. Manuela ritroverà il padre del ragazzo, adesso femme fatale transessuale col nome di Lola. I corpi, dunque, sono un transito del desiderio, proteiforme, cangiante, sessuato e pure capace di andare al di là del dimorfismo sessuale. Un desiderio alla Nancy, mai disgiunto dall’amore.

Sogni come desideri, il treno dei desideri, un tram chiamato desiderio, ed il richiamo “colto” a quel treno che, nei pensieri dello chansonnier astigiano, all’incontrario andava. Cioè, dal mare al paese, cercando un po’ d’Africa in giardino, nella quotidianeità quasi dechirichiana di una piazza italiana. Con Azzurro[2] siamo già risaliti fino al Sessantotto, un anno significativo per le sorti del desiderio che trova nuovo spazio nei discorsi della politica e della cultura.
Non sono d’accordo nel definire quella un’epoca del desiderio e del piombo, come se da lì a poco si fosse ingenerata una mutazione traumatica del desiderare stesso; non credo sia neppure gisuto concedere che gli anni Settanta del Novecento abbiano rappresentato una sorta di suicidio del desiderio (come è stato sostenuto specie da una certa parte cattolica), ma il decennio che dal ’68 si può far chiudere nel ’78 con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro segna una nuova stagione per il concetto di desiderio. Quegli anni sono stati, per certi versi, il decennio del desiderio equivocato. Equivoco ingenerato soprattutto dal suo confonderlo con il bisogno, ritenendo così, con una scorciatoia, di immergerlo nel sociale: mentre sarebbe bastato leggere meglio Freud Deleuze o Kojève, per esempio, per capire quanto interessante sia la questione del soggetto desiderante e come questi possa essere rintracciato anche, e forse soprattutto, in una dimensione ultraindividuale , pur senza con ciò rinunciare alla soggettività tutta personale del desiderio.

Cet obscur objet du désir (Mathieu e Conchita/Carole Bouquet)

Cet obscur objet du désir (Mathieu e Conchita/Carole Bouquet)

Il carattere ambiguo ed epocale del desiderio emergeva con grande finezza artistica e sintattica dall’ultimo film di Luis Buñel, realizzato proprio nel 1977: Cet obscur objet du désir. Perché definire oscuro l’oggetto del desiderio? Buñel coglie un punto essenziale: non si desidera mai veramente qualcosa o qualcuno, perché l’oggetto non si dà, sfugge sempre al desiderante, è immarcabile – direi in termini calcistici.
Mathieu Faber, il «burattinaio» del film, racconta durante un viaggio in treno ai passeggeri del suo scompartimento i suoi amori con Conchita, una donna seducente che cerca di possedere, ma che dopo aver alimentato le sue speranze di successo, si sottrae sempre alle sue avances. La sottoveste che indossa, da indumento sexy e attizzatoio delle voglie dell’amante, dal momento che Conchita si rifiuta ad ogni costo di sfilarsela, si tramuta nel suo contrario, in cintura di castità. Quando alfine se la toglierà, Mathieu la scoprirà indossare dei curiosi mutandoni che comunque impediscono un rapporto sessuale completo. Da notare che, a rimarcare ulteriormente il carattere ambiguo del desiderio, Conchita viene interpretata da due attrici diverse, Carole Bouquet e Angela Molina. Conchita infatti è almeno duplice, promette epperò non si dà mai, c’è nel suo negarsi.

Jean-Claude Carrère, co-sceneggiatore del film, compendierà così, mirabilmente, il senso del film: “A volte è del desiderio che siamo desiderosi, ci piace permanere in uno stato di desiderio, uno stato che ci solleva al di sopra della piattezza quotidiana, per cui il titolo del film ci è parso assolutamente appropriato per questa storia che non ha fine».
Il film si presta dunque moltissimo per spiegare la duplice natura forse più profonda del desiderio: il suo continuo sottrarsi ed il suo essere privo di oggetto.


[1] Si veda su questo punto decisivo il saggio, assai convincente, di Marcella D’Abbiero, Jean-Paul Sartre: un cogito che soffre e che ama, in AA.VV., Desiderio e filosofia, Guerini e Associati, Milano 2003, pag. 99 e segg.

[2] Fabio Canessa ha scritto un libro su questa canzone ispiratissima: Azzurro. Conte, Celentano, un pomeriggio…, Donzelli, Roma 2008.


Risposte

  1. La pratica di far interpretare ad attori diversi lo stesso personaggio nel corso del film è molto comune, soprattutto quando c’è l’intenzione di svalutara la forma, il corpo rispetto al contenuto, ciò che c’è dentro, ciò che i personaggi provano. E’ un po’ come dire “potresti anche essere tu”, nella funzione in cui i sentimenti vivono a prescindere dal tramite.
    E’ una cosa che fa spesso D.Lynch e che riprende T.Solondz: due registi in cui è il desiderio a muovere i corpi dei personaggi sul rettangolo delle emozioni. Vengono quindi svalutate le forme dei personaggi, ma la predominanza del desiderio esalta l’estetica dei personaggi stessi, in un trionfo di sensazione, percezione ed immedesimazione, che sono poi le chiavi del rapporto tra uomo e arte.

    • Per non dimenticare David Cronenberg, maestro assoluto del “corpo” e delle sue trasformazioni, espresse tramite il linguaggio del cinema. Nella pellicola “Spider”, tratta dal romanzo di McGrath, il regista vuole sottolineare come la realtà venga effettivamente filtrata dalla mente contorta del protagonista, perdendo qualunque connotazione oggettiva. Per rappresentare questo effetto si affida allo sguardo, nella soggettiva del desiderio stesso (edipico), che replica il corpo della madre (l’attrice Miranda Richardson) in ogni donna che vede e desidera per riflesso, tessendo una ragnatela di collegamenti paralleli alla realtà stessa fino a sostituirla completamente con le convinzioni di Spider.

  2. Stanley Kowalski si sente “minacciato” da Blanche DuBois perché lei rappresenta quello status sociale e culturale che lui non ha mai avuto e a cui sente di non poter aspirare.
    Per lenire la sua frustrazione ed impotenza (mentale ovviamente) – derivati dall’averla sempre sotto gli occhi, decisamente troppo vicina – deve usare la sua “frusta” e la sua potenza (fisica ovviamente) per riuscire a trascinarla nel suo stesso fango, “sporcarla” perché è troppo pulita.
    Quello che annienta allora non è l’oggetto del suo desiderio, ma il riflesso di un altro suo desiderio impossibile, irrealizzabile che lei gli rimanda di continuo ed in questo modo Kowalski cerca di mantenere sé stesso, giustificare la sua esistenza, difendendola. Non potendo riscattarla, elevarla al di sopra di ciò che è stato capace di costruire, deve agire in modo che nulla intorno a lui possa svettare sulla memoria insoddisfatta di sé.

  3. Leggendo e rileggendo questo post, mi è subito giunto alla mente un meraviglioso film di M. Haneke, “la pianista”…lì c’è la dispiegazione di un bruciante desiderio che spinge entrambi i protagonisti, ma è un desiderio lacerante, sadomasochistico, urticante e forse ritornano tutti gli elementi: l’orizzontalità del de-siderio, l’assenza, in fondo, dell’oggetto del desiderio ed il desiderio che come Eros, in un passo del Simposio, si impossessa dell’amante/desiderante.
    Ritornando al post. In “Un tram chiamato desiderio” Blanche e non se ci avete fatto caso il nome credo non sia stato scelto a caso…Blanche è bianca, eterea (mai visto un film in bianco e nero così denso di colori!). Forse, Blanche e Kowalski, rappresentano due facce del desiderio: desiderio/carnale, l’istinto di Stanley e desiderio/poetico, trascendentale di Blanche.
    Spero di aver aggiunto elementi alla discussioni originali e non banali.

  4. Giacchè, come esposto a lezione, quando desideriamo una persona (donna o uomo che sia), non desideriamo solo la figura, ma il suo essere iscritta in un paesaggio, nel momento in cui quella persona viene meno, nella nostra mente si collocano ricordi che prendono la forma di quadri. I momenti ed i luoghi condivisi con l’altro, fanno parte integrante del ricordo stesso, al punto che talvolta ci viene difficile tornare in un posto in cui siamo stati, per la prima volta, con una persona che ora non è più al nostro fianco.
    Questa è una triste verità che talvolta, per assurdo, può indurre a pensare che le persone non siano altro che funzioni del mondo. Una x, relazionata ad un paesaggio y, genera uno stimolo z. Crudele la matematica in questi ambiti. Tuttavia, almeno secondo me, c’è una formula a variabili che in ognuno genera diversi stimoli, sensazioni, emozioni.
    Ecco perchè sostituendo una persona ad un altra, nello stesso paesaggio, non otterremo mai lo stesso risultato.

    Sono consapevole che molti non apprezzeranno tutto ciò.

  5. Sarà perché i desideri come un treno portano lontano o perché hanno bisogno di andare oltre i nostri giardini e quindi di essere “trainati” (la parola treno non a caso deriva dal latino trahere cioè tirare),fatto sta che il binomio treno-desiderio è significativo e denso di contenuti .
    Lo testimoniano i grandi cantautori che mischiano il fumo dei loro sigari a quello di un treno a vapore su cui “caricano”i loro desideri,treno che improvvisamente inizia a correre forte su delle rotaie che in tal caso potrebbero simboleggiare linee e spazi di un pentagramma.
    Se quindi confermiamo la teoria per cui il desiderio avendo duplice natura si sottrae ed è privo di oggetto, riusciremo a trovare la chiave di lettura delle parole del cantore modenese Guccini, che parla di una locomotiva ”come una cosa viva, lanciata contro l’ingiustizia” o ancora quella locomotiva che ha la strada segnata del principe De Gregori, o quei “treni di Tozeur” cantati da Battiato.
    In questi casi l’oggetto del desiderio è indefinito e indefinibile, piuttosto esso si “materializza” in una utopica “società del sole”: purtroppo però questa è inaccessibile in quanto non si possiede il ticket per giungervi!
    Altro treno dei desideri è quello di un mio compaesano: l’irpino Franco Arminio (definitosi con simpatia paesologo e porno-poeta) che con il cantautore Vinicio Capossela, anche esso sangue irpino, ha caricato il desiderio di una comunità su una tratta ferroviaria abbandonata da anni:la Avellino-Rocchetta. Su questo tratta ha raccolto storie e tradizioni coltivando il sogno di realizzare un parco che dovrebbe chiamarsi “parco mondiale della terra tonda”.
    Qui il desiderio apparentemente sembra più chiaro,in verità non lo è affatto,lo scopo non è semplicemente appagare un solo desiderio ma comprendere la catena emotiva e logica che unisce più esigenze e desideri.
    Questo parco non è infatti un parco contemplativo, ma lievemente insurrezionale. Qui se si fanno passeggiate sono passeggiate intimamente rivoluzionarie dove non si cammina nei giorno di festa per riposarsi dagli imbrogli dei giorni feriali , ma si cammina come forma d’ amore urgente verso la nostra storia, passata e futura.
    La domanda che mi pongo a questo punto è:ma dove sono diretti questi treni dei desideri?
    La risposta è” fanta –filosofica” e mi giunge da due diversi canali: la filosofia di Peter Sloterdijk e un classico film degli anni 80 di Robert Zemechis: Back to the future (Ritorno al futuro).
    Questi treni sono diretti nella post-storia.
    Nel film di Zemechis il treno decolla e parte, lasciandoci alle spalle due strisce di fuoco che potrebbero essere i nostri desideri,abbandonati perché non appagabili mai completamente.
    Marty (il protagonista), guardando la foto che gli aveva regalato Doc (lo scienziato “creatore “ del desiderio di viaggiare nel tempo) sentiva una certa nostalgia, allora si sentì in dovere di raccogliere tutti i pezzi recuperabili, ormai solo rottami,della De Lorean distrutta; questi rottami rappresentano i pezzi di storia che cerchiamo di assemblare tentando di giungere alla “stazione” della post-storia che desideriamo.
    Concludendo, forse in preda a deliri filosofici, mi chiedo perché i desideri non sono mai appagati o per lo meno lo sono con netto ritardo, la risposta e gonfia di goliardia e mi viene da pensare che questo treno dei desideri magari è gestito da Trenitalia.
    Francesco Santosuosso

  6. Paolo Prato ha scritto un libro:” Il treno dei desideri.Musica e ferrovia da Berlioz al rock ”

    Mi sembra interessante,riporto anche un articolo del Corriere della sera:

    http://archiviostorico.corriere.it/2003/dicembre/02/treno_dei_desideri_ferma_tutte_co_0_031202073.shtml


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